: Dorthe Nors
: Una linea nel mondo Un anno sul Mare del Nord
: iperborea
: 9791281724426
: I Corvi
: 1
: CHF 9.00
:
: Biographien, Autobiographien
: Italian
: 224
: Wasserzeichen
: PC/MAC/eReader/Tablet
: ePUB
Da Skagen, l'estremo nord della Danimarca, a Den Helder, nei Paesi Bassi: è la linea di costa che Dorthe Nors chiama casa. Un paesaggio di dune e pinete, perennemente scolpito dai capricci degli inquieti Mare del Nord e Mare dei Wadden, in costante movimento. Come la scrittrice, divisa tra una vita di viaggi e il richiamo dei luoghi dell'infanzia, perché «ogni identità nasce da una scissione». Nel corso di un anno, Nors torna a visitare la sua linea: vagando su strade e sentieri, si ferma ad Amsterdam, dove i canali addomesticano il caos delle maree, e va in cerca dell'abbazia di Børglum, cupo edificio che a volte magicamente scompare; vive per mesi a Fanø, tra le Frisone settentrionali, abitata da una fiera comunità matriarcale, e va in macchina fino a Thy, un tempo depressa comunità di pescatori, oggi paradiso di surfisti e uccelli migratori detto «Cold Hawaii». Tutti luoghi in cui la cocciutaggine degli abitanti, temprati dagli elementi, si è scontrata con l'entusiasmo dei forestieri. Ma quando il turismo e l'innovazione rompono antichi equilibri, diventano pericolosi: villaggi che d'estate sembrano parchi divertimento in inverno si svuotano, mentre le fabbriche vicine alla costa scaricano scorie in mare. C'è però chi si oppone, come per decenni ha fatto Aage Hansen, pescatore del Limfjord che negli anni Settanta incolpò uno stabilimento chimico della moria di pesci della zona, guadagnandosi prima l'ostracismo dei compaesani, poi un cavalierato. E come Dorthe Nors, che tenta di fondersi con il paesaggio e, unendo sapere scientifico a intuizione poetica, l'ironia della cittadina all'affetto di chi tra i fiordi è cresciuto, racconta l'eterna legge del cambiamento.

Dorthe Nors è una delle più importanti scrittrici danesi. Tradotta in tutto il mondo, ha scritto romanzi e raccolte di racconti. Nel 2014 ha ricevuto il premio P.O. Enquist ed è stata finalista all'International Booker Prize con «Angolo cieco» (Bompiani 2018).

La linea


L’estate è iniziata da poco e sotto i miei piedi si allunga una linea di costa che ho srotolato sulla scrivania come una carta geografica. Parte dall’estremità settentrionale delloJylland, in Danimarca: sì, comincia proprio lì, da un’aguzza lingua di sabbia nello Skagerrak. Scende a cascata verso sud, si piega all’ingiù. Ecco, adesso la linea è cominciata. Traccia una costa e prosegue lievemente verso l’esterno. Poi, una alla volta, si aggiungono isole sabbiose che si susseguono come vertebre cervicali. E la linea va avanti, spezza i confini, arriva in Germania e oltre. Le isole si aggiungono come altre piccole vertebre in direzione dell’Olanda, ormai non è più solo una linea, ma un essere vivente.

Una linea di costa lunga un migliaio di chilometri. Da Skagen in Danimarca fino a Den Helder nei Paesi Bassi. Da una punta di sabbia a nord, che tenta di farsi largo tra gli inamovibili massicci della Norvegia e della Svezia, fino aVadehavet, il Mare dei Wadden, dove si posano gli uccelli, dove si contano le ore e quell’essere vivente sussurra.

La linea mi è vicina da sempre, non solo in senso fisico, ma anche per le grandi carte geografiche della scuola, per la televisione o lo stradario che i miei tenevano in macchina. A guardarla insieme all’intera penisola, sembra la testa di uno jyllandese che sonnecchia con addosso un berretto buffo e un grosso naso che punta a est. Sempre vista dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra. Non è mai capovolta, composita, frammentata o esagerata. Nella carta geografica sotto i miei piedi è semplicemente quel che è.

Però, se potessi controllare il tempo e aumentarne la velocità, come in quei video intimelapse in cui si vede una rosa che da bocciolo chiuso si trasforma in un fiore aperto, la linea prenderebbe vita. Il suo tracciato sarebbe sempre in movimento: eccola sporgersi in avanti, tirarsi indietro, aprirsi, curvarsi, spezzarsi, poi chiudersi e riaprirsi ancora. A tratti scomparirebbe sotto pesanti masse di ghiaccio, per poi risorgere in altra forma, danzando. Con la coda ora sinuosa come un’anguilla, ora agitata come una banderuola al vento. È una linea di coste sabbiose che vive di vita propria. Sempre sul punto di nascere, sempre sul punto di morire. Decisa dalla forza delle galassie che tutto attraversa, tracciata dalle tempeste, dal viaggio del Sole e della Luna, e dall’intervento umano, anche se questo è solo un problema transitorio, perché la linea ha tutto il tempo del mondo. È un racconto lungo e vivente che parla di maree, sempre soggetto ai ritmi circadiani, eppure misurato con l’eternità.

Una linea nel mondo, una sola. Poteva anche trovarsi altrove e accogliere altre esperienze, altre tragedie e riflessioni tacite. Cosa potrebbe dirci la linea che va da Barrow in Alaska a Cabo San Lucas in Messico? Una miriade di storie. E quella che va da Gibilterra a Capo di Buona Speranza? Non c’è limite ai racconti che si possono trovare su una linea. Il paesaggio, però, va oltre il racconto, così come il racconto va oltre se stesso. Per entrare in un punto della linea, creare un’apertura, guardare e imprimere un segno, ci vuole un essere umano. L’anno che viene toccherà a me affondarvi dolcemente la lama della scrittura.

La mia geografia personale ha avuto inizio in un sobborgo di provincia che potrebbe essere l’equivalente danese di Denver: Herning. Una giovane e vivace cittadina mercantile come quelle del Klondike, nel bel mezzo della brughiera jyllandese. Poi, quando avevo quattro anni, la mia famiglia si trasferì nove chilometri più a ovest. I miei avevano comprato un podere abbandonato nella vasta parrocchia di Sinding-Ørre. La zona era per metà verde, fertile e collinosa. Per il resto, era costituita da ampi tratti di bosco e brughiera sotto un cielo da prateria. Mi avventurai in quel territorio non appena cominciai a vagabondar