A come AVVENTURA
“Avventura” è una parola ancora capace di evocare in me la magia del viaggio. Significa “ciò che verrà”, e che quindi ancora non si conosce, come sconosciuta era quellaterra incognita che ha alimentato i sogni di tanti esploratori del passato, spingendoli ad andare sempre un po’ oltre chi li aveva preceduti. Se il presupposto insito nell’etimologia stessa della parola è fare esperienza di spazi diversi da quelli abituali, oggi l’avventura ha perso molta della sua capacità evocativa, perché in un mondo interamente percorso, misurato, descritto e fotografato, la scoperta è diventata necessariamente una ri-scoperta e il conoscere un ri-conoscere. Nella ricerca di un improbabile abbinamento fra avventura ecomfort, sono andate via via scomparendo anche quelle componenti di coraggio e di resistenza alle privazioni e alla fatica, presenti a livello sia simbolico sia reale nel concetto di viaggio degli antichi.
Paradossalmente l’avventura è più difficile da vivere proprio ora che sembra alla portata di tutti, sepolta com’è da eccesso di offerta, trasformata in merce di rapido consumo o banalizzata e ridotta a richiamo pubblicitario per vendere profumi e fuoristrada. Le destinazioni più raggiungibili sono state bruciate dall’industria turistica. Anche molte di quelle più lontane e fuori dai sentieri battuti sono ormai inserite in circuiti avventura proposti su cataloghi patinati e venduti in serie. Inevitabilmente il viaggiatore, passato dal ruolo di eroico protagonista a quello di semplice consumatore di una merce qualsiasi, attraversa una crisi d’identità. Gli operatori corrono al riparo moltiplicando l’offerta con proposte sempre nuove e sempre più personalizzate e l’editoria di settore, esaurite le destinazioni reali, ha addirittura pubblicato ironiche fantaguide a Paesi inesistenti. Un libro di recente pubblicazione suggerisce viaggi sperimentali davvero strani, o creativi come si usa dire oggi: dall’autostoppista impossibile che espone un cartello per una destinazione lontanissima, al turista bendato e accompagnato da una persona che racconta, a quello che segue la direzione del vento armato di una banderuola...
Da parte sua il neoavventuriero, non potendo più essere il primo a scoprire qualcosa di nuovo, cerca negl’interstizi del viaggio “l’autentico” che ancora sopravvive alla globalizzazione, per poter almeno dichiarare di essere l’ultimo privilegiato a goderne, salvaguardando così la propria unicità. Oppure ricerca l’autoaffermazione attraverso imprese ad alto rischio, in gergo “estreme” o “no-limits”: ripercorre itinerari conosciuti, ma nelle condizioni più avverse, tenta di raggiungere luoghi inaccessibili o si spinge oltre i limiti per battere nuovi record. Tutte sfide che lasciano una traccia nella propria memoria, forse anche nel Guiness dei Primati, ma, di fatto, aprono nuovi territori all’industria turistica, più che nuovi orizzonti di conoscenza e comprensione dell’altrove.
In realtà, come scrive Rolf Potts inVagabonding, “Vivere l’avventura significa spesso uscire e lasciare che le cose accadano in un ambiente nuovo, strano e sorprendente. Si tratta insomma più di una sfida psicologica che fisica. [..