Chaco
Rio Bermejito, Chaco, Argentina,
aprile 2012
“Nonna Tita”, annunciò con rispetto Carlos, presentandoci la vecchia signora impegnata a filare. La donna ci sorrise, scambiò qualche parola con lui, poi riprese il suo lavoro, porgendo le mani per mostrarci la sua straordinaria bravura di filatrice. Nella sinistra teneva la matassa della lana grezza, tra il pollice e l’indice della destra lasciava scorrere verso il basso il filo che andava ad arrotolarsi sul fuso. I gesti erano veloci, precisi e sempre uguali, gesti “antichi” direbbero con parole scontate idepliant turistici. Il volto, solcato da rughe profonde, incorniciava due occhi scuri e vivaci che forse ridevano degli stranieri tanto meravigliati del suo lavoro. Aveva una folta chioma di capelli bianchi, raccolti in unochignon tenuto da un nastro rosso fuoco. A nonna Tita piacevano senz’altro i colori, perché portava tutto l’arcobaleno sulla giacca e sulla gonna. Un paio di scarpe rosse completavano l’abbigliamento. Alle sue spalle sorgeva la povera casa di famiglia, accanto a lei una figlia, o una nuora, teneva in braccio un bambino di pochi anni. Gente poverissima. Attorno ai nostri piedi razzolava una cucciolata di cagnetti scheletrici.
“Dove ho già visto questa donna?”, mi domandavo. Perché il suo volto mi sembrava noto, anche se era difficile che io potessi conoscere Tita, di etnia Toba, abitante nella provincia del Chaco, Argentina del nord. Chaco non è solo il nome della provincia, ma con l’aggiunta di un “Gran” diventa anche una sterminata foresta, in parte umida e in parte secca, che si estende dal Paraguay fino all’Argentina centrale, molto più estesa dell’omonima provincia.
Per comprendere cosa significhi vivere nel Gran Chaco, va aggiunta qualche informazione su questa foresta unica al mondo. C’è poca ombra nel Chaco, gli alberi di alto fusto non sono numerosi. Così la luce del sole può raggiungere il suolo e consentire la crescita di un’infinità di piante che generano un groviglio inestricabile, inaccessibile. Fa caldo nel Chaco, molto, quasi tutto l’anno e, come sappiamo, le piante che devono resistere al caldo hanno più spine che foglie. Così quasi tutte le piante del Gran Chaco sono spinose, terribilmente spinose. Molte specie dicactus e dificus dalle forme sinuose - e su queste le spine sono d’obbligo - si mescolano ad alberi e cespugli rigogliosi e verdissimi, apparentemente innocui, ma dotati di spine terribili, alcune tanto piccole da risultare quasi invisibili, altre lunghe un palmo. Queste ultime, usate come pugnali, potrebbero uccidere una persona. Sembrava esserci una sola pianta senza spine nel Chaco, che assomiglia alficus Benjamin, e Carlos ce la mostrò con orgoglio. Dopo aver fatto attenzione per giorni a dove posare le mani e i piedi, accarezzammo le foglie e i rami della pianta senza spine come fossero le mani e le braccia di un amico non incontrato da tempo.
Ci si sposta solo su sentieri ben tracciati che non si abbandonano mai, perché il Chaco è impenetrabile,El Impenetrable, come v